DANNO PROVOCATO DA ANIMALE RANDAGIO


DANNO PROVOCATO DA ANIMALE RANDAGIO
Qualora un animale randagio arrechi un danno ad una persona la stessa ha il diritto di essere risarcita da parte del Comune.
I provvedimenti atti a disciplinare la materia del randagismo impongono agli Enti territoriali di provvedere ad attuarsi al fine di prevenire ed evitare che gli animali randagi cagionino danni alle persone. Qualora l'Ente territoriale non ponga in essere ogni provvedimento necessario ad annullare tale pericolo sarà costretto a risarcire il danno.
Quanto appena esposto è stato asserito dalla Suprema Corte di Cassazione, sentenza 28 aprile 2010 - n. 10190.
La legge di riferimento è la 281/91 - “Legge-quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”.
La menzionata normativa, infatti, assegna ai Comuni il compito di costruire, sistemare e gestire canili e rifugi per animali. Attività parallela deve invece essere adempiuta dalle ASL le quali devono provvedere alle attività di profilassi e controllo igienico-sanitario, oltre che di polizia veterinaria.
I soggetti feriti da animali randagi, quindi, verranno risarciti dal Comune in cui si verificava il fatto. Al fine di ottenere idoneo risarcimento il soggetto dovrà sottoporsi a tutte le visite mediche del caso e da ultimo anche ad una visita medico legale. Poi si dovrà inviare tutto al Comune il quale comunicherà i dati della propria compagnia assicurativa. In seguito il sinistro verrà trattato direttamente con l'assicurazione del Comune.

DIRITTI DEL CONVIVENTE NON SPOSATO IN MATERIA DI PRIVACY


I conviventi non sposati, in base al nostro sistema legislativo, non hanno particolari diritti e corrispettivi oneri nei confronto del compagno o compagna. Tale situazione spesso genera numerosi contrasti che vengono vissuti dai diretti interessati come vere e proprie ingiustizie.
Il matrimonio civile è assimilabile ad un contratto e, come ogni accordo, prevede diritti e doveri solo per i contraenti. Se non c’è matrimonio non c’è contratto e, quindi, le persone conviventi non possono essere assimilate a contraenti.
Ad ogni modo, seppur lentamente, la situazione sta cambiando.

Una interpretazione molto importante del d. lgs. 196/2003, in materia di privacy e dati personali, è stata espressa dal Garante per la protezione per i dati personali in data 19.09.2009, segnando una evoluzione in materia.
Nel caso deciso dall'Autorità il convivente di una signora, deceduta all’interno di una struttura ospedaliera, aveva chiesto di poter visionare la relativa cartella clinica e tutti i documenti inerenti alla degenza.
Il soggetto presentava istanza all’Ospedale, sostenendo che lo stesso aveva ricevuto idonea autorizzazione dalla ex convivente quando era ancora in vita che lo autorizzava a prendere visione di ogni dato sensibile.
L'ospedale, citando generici impedimenti, non acconsentiva la visione dei documenti, in ottemperanza a quanto asserito in un regolamento interno della struttura ospedaliera. Alla base del diniego vi era il fatto che conviventi e c.d. compagni more uxorio (ossia non sposati) non hanno diritti sulla persona del convivente deceduto.
L'Autorità Garante, però, ha stabilito che, prescindendo da ogni autorizzazione, è diritto di tutti i soggetti (che abbiano un meritevole interesse) conoscere i dati sensibili di un individuo defunto per ogni motivo meritevole di protezione, ex art. 9 comma 3 del Codice per la protezione dei dati personali (d. lgs. 196 del 2003).
E, continua l'Autorità, a nulla vale l'opposizione dei parenti che vogliano ostacolare l'accesso ai dati sensibili, posto che il Codice per la protezione dei dati personali non prevede in nessun punto che sia richiesto il parere degli altri legittimati ne' alcuna forma di autorizzazione.

Per ulteriori informazioni:
Avv. Roberto Righi
Pesaro - Urbino
Tel.: 347.4445105
e.mail: studiolegalerighi@alice.it

Divorzio e assegno di mantenimento


Diritto di famiglia – Mantenimento dell’ex coniuge

Il diritto di famiglia è quella branca del diritto che regola i rapporti inerenti al nucleo familiare e i rapporti scaturenti dalla cessione del rapporto familiare. Riguarda, quindi, gli aspetti della vita tra i coniugi e i loro diritti e doveri nei confronti dei figli.
Di seguito vengono riportati alcuni principi asseriti dalla Corte di Cassazione.
Determinazione del mantenimento
La somma dovuta a titolo di mantenimento può variare da numerosi fattori.
In primo luogo si dovrà considerare il reddito netto dell’obbligato al mantenimento oltre agli ulteriori beni della coppia: mobili ed immobili, beni produttivi, redditi ulteriori …
Il compito del mantenimento è quello di far raggiungere al beneficiario dello stesso mantenimento un simile tenore di vita tenuto durante il matrimonio.
L’obbligato dovrà quindi corrispondere una somma, rapportata al proprio reddito, che permetta all’ex coniuge di godere dello stesso tenore di vita.
Altro elemento determinante è la presenza di figli a carico. L’ex coniuge dovrà in primo luogo pensare al mantenimento della prole e poi a quello dell’ex marito o moglie.
Ulteriore circostanza rilevante è la convivenza more uxorio (ossia avere un compagno o una compagna dopo il divorzio). Qualora il compagno contribuisca al sostentamento della ex moglie ridurrà o potrebbe far cessare lo stato di bisogno del coniuge beneficiario e quindi il mantenimento verrebbe meno.
Il coniuge onerato al mantenimento, dal canto suo, può far valere le proprie ragioni in quanto, come logico e normale, la separazione o il divorzio cagionano un notevole aumento di costi nei confronti del coniuge obbligato ad abbandonare la casa coniugale e corrispondere il mantenimento. L'assegnazione della abitazione alla moglie, ad esempio, può avere come diretta conseguenza la necessità per l’ex marito di andare a vivere in affitto, con notevole aumento di spese.
La giurisprudenza della Cassazione, però, ha raggiunto un compromesso ed ha sancito che si deve tenere conto dello squilibrio derivante da tali conseguenze. Detto squilibrio dovrà essere compensato mediante il versamento di una somma minore in favore del coniuge beneficiario dell'assegno di mantenimento.
Al fine della determinazione del tenore di vita occorre riferirsi alla effettiva disponibilità di acquisto di ogni bene.
Esempio. La signora X moglie del signor Y, percepisce mediamente 15.000,00 € all’anno ma, grazie al reddito ben maggiore del marito ha una disponibilità di spesa per beni personali (vestiti, profumi, cibo, oggetti vari…) di circa 1.200,00. A seguito del divorzio, qualora l’addebito venga posto a carico del marito, la signora X potrà continuare a beneficiare della somma che mensilmente spendeva in precedenza alla separazione o divorzio.

La sentenza 14214/09 emessa dalla Corte di Cassazione, infatti, ha chiarito che "l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio va effettuato verificando l'adeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio" … "va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, del reddito di entrambi, valutandosi tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio".
Come ottenere la rimozione o la riduzione dell’assegno di mantenimento in favore della ex moglie
La Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che, qualora il marito versi da solo le rate del mutuo della casa coniugale, l’assegno spettante alla moglie deve essere ridotto (Sentenza 15333/10). Legittima, quindi, la riduzione della somma dovuta dal marito alla ex moglie qualora l'ex marito continui a pagare il mutuo della casa coniugale per intero e la casa venga a lei assegnata. Nell’ipotesi di specie la Corte ha confermato la riduzione dell’assegno da 400 a 200 euro.

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Avv. Roberto Righi
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